il volo pisa roma è uno spettacolo, non fai in tempo a salire che già scendi. Nel mezzo riesci ad apprezzare la differenza con la ryanair e la bellezza dell'italia. A Roma devo ritirare la valigia e rifare il check in cosa che mi permette di notare che la mia valigia è strappata e presenta un bel buco sulla tasca frontale. Niente di che, ma mi fa riflettere sulle differenze tra Europa e Africa.
Sul volo Roma Casablanca ho un primo assaggio di un mondo vicino. Intorno a me decide di marocchini che vivono in Italia e che tornano a casa, magari dopo anni. E infatti accanto a me si siede un tipo entusiasta marocchino che vive a Napoli che non vede la famiglia da quattro anni e mi racconta di tutto. Il problema è che mi racconta tutto in un linguaggio tra l'arabo e il napoletano stretto. Faccio molta fatica a seguirlo.
A Casablanca si percepisce la frontiera. Le infrastrustture sono ancora quelle moderne dell'Europa ma i viaggiatori sono per la maggior parte africani. Mi colpiscono due cose dell'aeroporto. La prima è un adesivo appiccicato dappertutto con scritto "questo aeroporto ha ricevuto la certificazione ISO9001", come fosse un aspirapolvere, la seconda è che l'internet point è accanto alla stanza della preghiera e mentre io controllo le email sento bisbigliare i credenti.
Sono ancora sul fuso orario di Roma e quindi rischio di perdere l'aereo. Mentre cerco l'uscita giusta mi viene in mente la fila per salire sull'aereo che da Nairobi mi avrebbe portato ad Accra. Su quel volo eravamo in 3 soli bianchi e tutti ci guardavano con quell'aria di "e voi che ci fate qui?". Trovo l'uscita giusta e il panorama è tutto diverso. Il volo Casablanca Nouakchott è pieno di bianchi, soprattutto russi mezzo ubriachi nelle loro camicie lucide.
A Nouakchott si percepisce subito la differenza culturale. Mi ricordo la mia frustrazione in Europa quando scendo dall'aereo e "per la mia sicurezza" non mi lasciano camminare neanche due metri e devo salire su un autobus, aspettare, accalcarmi, poi aspettare ancora. A nouakchott scendi dall'aereo e te la fai a piedi. Verso dove? Quale porta? Nessuno te la indica, chi conosce la strada avanza, gli altri seguono. Entrato nell'aeroporto faccio la fila per le formalità d'ingresso. Ci sono due cabine di controllo passaporti e, tra le due, il corridoio per entrare lungo il quale vari gendarmi armati alternano sguardi di simpatia e rispetto ai potenti locali in arrivo a sguardi severi verso i viaggiatori mauritani meno distinti. Nessuno sembra interessato a me. Quando esco la mia valigia è già lì che mi aspetta. Non sul rullo, che è spento, ma sorvegliata come un tesoro da un ragazzino che, tra i tanti che lavorano come portantini, aveva scelto di occuparsi della mia valigia. E' una valigia con le ruote ma lui insiste nel volerla portare di peso, sperando nella mia generosità. Purtroppo non ho moneta locale. Ah ti vanno bene anche gli euro? Mi spiace ma ho solo biglietti da 20 euro in su. Ci mettiamo d'accordo che la prossima volta che viaggio mi tengo due o tre euro per lui e ci salutiamo.
Fuori dall'aeroporto mi aspetta Antonio, un ragazzo di 30 anni spagnolo che lavora nel mio stesso ufficio. E' un amico di amici e dalle email sembra simpatico. Intanto so che è gentile visto che mi viene a prendere a mezzanotte passata all'aeroporto e mi ha offerto un letto a casa sua. Quando ci incontriamo la sensazione è subito buona, bella faccia simpatica, capelli lunghi, occhi intelligenti.
Sul mio stesso volo stava anche un altro amico di Antonio che incontriamo casualmente. E' un francese che lavora da un paio d'anni alla croce rossa di Nouadhibou, nel nord del paese. Arriva tardi la notte e non sa dove dormire così viene con noi da Antonio, proseguirà il suo viaggio il giorno dopo.
Nouakchott è una città vuota, la Mauritania è un paese vuoto. Un paese tre volte grande come l'Italia abitato da 2 o 3 milioni di persone al massimo. E si vede subito. Come si vede subito anche che Nouakchott è una lotta impari tra il deserto fortissimo e l'uomo che cerca di insinuarsi. Le strade asfaltate sono poche, la sabbia è ovunque, i marciapiedi non esistono. La città e tutto intorno per centinaia di kilometri è una pianura di sabbia e a volte sterpaglia. Solo dentro i recinti delle case private si trova qualche albero e qualche fiore. Ai lati delle strade le capre mangiano l'immondizia. A casa di Antonio parliamo dei francesi rapiti in Niger la settimana prima. Sono stati rapiti in pieno giorno mentre erano al ristorante in piena capitale, un fatto nuovo. Sebastien che è in Mauritania da molto tempo assicura che la situazione nella regione è peggiorata molto. Parliamo di tecniche di sicurezza e del ruolo ambiguo delle ambasciate. Scopro velocemente che questi sono tra i discorsi fatti più spesso dagli occidentali che vivono qui.
Il giorno dopo ci svegliamo presto, dobbiamo andare in ufficio. Passiamo di fronte all'ambasciata francese che prima era un palazzo affacciato sulla strada e ora è circondato da un muro e filo spinato. L'esercito coi mitra è ovunque e pick-up militari girano per le strade con fucilieri in piedi sul portapacchi. Spesso hanno il copricapo touareg che li rende ancora più minacciosi. In giro a piedi solo i locali. Penso al Brasile che ora mi appare ricchissimo. Pieno di contraddizioni ma ricchissimo. In Mauritania non ci sono contraddizioni, sono tutti poveri. Il palazzo dell'ONU è protetto da guardie e circondato da un alto muro di protezione. Per entrare le misure di sicurezza sono strette, almeno questa è l'impressione. In ufficio conosco tutti, un turbinìo di nomi che non ricorderò ma una gerarchia che mi appare subito chiara. Antonio aveva ragione, ognuno lavora in un ufficio individuale, si lavora separatamente. Ci si incontra spesso per chiacchierare ma non di lavoro. Questo vuol dire che dovrò riuscire a motivarmi da solo a fare quel che devo fare. Sarà un bene? Pranziamo all'Istituto francese di cultura, un giardinetto grazioso e all'ombra. I clienti tutti bianchi, i camerieri tutti neri, sembra d'esser tornati alle colonie, i francesi non cambiano mai.
A pranzo oltre a Antonio, che mi sta sempre più simpatico, sono presenti altre tre spagnole. Nouakchott è piena di spagnoli che dopo i francesi sono i più numerosi. Pochissimi italiani.
Dopo lavoro è ancora caldo e decidiamo d'andare in spiaggia. Antonio si ferma a prendere una sua amica, sempre spagnola, che è qui da un anno. Uscire dalla città è una cosa un po' speciale, ai confini della città c'è un check-point militare dove fare attenzione. Passato quello non c'è più niente, tranne deserto e spiaggia selvaggia. Non c'era nessuno, potevo guardare in ogni direzione ma non c'era niente e nessuno. Solo deserto e oceano. E siamo solo a 15 minuti dalla capitale. Dopo aver cenato in uno stilosissimo ristorante di pesce (che fa anche una buona pizza) siamo andati ad una festa di compleanno dove ho conosciuto altri mille spagnoli. Tutti che lavorano in ONG. Chitarre e canzoni comuniste hanno dominato la serata. I cooperanti sono tutti uguali.
Il tempo scorre lento a Nouakchott, le giornate lunghissime. Chissà quanto durerà