domenica 22 maggio 2011

Sposarsi in Mauritania


il matrimonio è un rito importante nelle società umane. L'organizzazione e la dinamica dei matrimoni raccontano della cultura che li esprime. 

Qualche settimana fa ho potuto osservare in prima persona un matrimonio mauritano. La sorella di un collega mauro si sposava e lui ha onorato alcuni amici dell'invito. 

Nel salotto climatizzato gli ospiti parlavano dell'importanza di sposarsi giovani. Le donne devono trovare marito entro i 18-20 anni, per essere belle e fare figli. Gli uomini dovrebbero sposarsi almeno una volta entro i 30, perché avere moglie li aiuta a vivere in modo regolare e rispettoso della Sharìa. 

Comunque ecco come funziona il matrimonio mauritano. La famiglia della sposa organizza la festa e invita tutti gli amici e i parenti della sposa. Lo sposo non è invitato e non va. Però a un certo punto della serata manda i suoi amici, fratelli e cugini a rapire (sì sì, a rapire) la sua sposa. Per questo la sposa nel frattempo viene nascosta da qualche parte in casa della sua famiglia, durante la festa. Gli amici dello sposo arrivano a casa della sposa, fanno a botte con gli uomini della sua famiglia, fanno irruzione e iniziano a cercarla. Quando l'hanno trovata la portano allo sposo e dal momento in cui lei esce dalla casa del padre esce anche dalla sua famiglia, per entrare in quella di suo marito. 

La mattina dopo la famiglia dello sposo, gli amici e tutti i vicini vanno a casa dello sposo a vedere se sul lenzuolo c'è il dovuto sangue virginale. Se non c'è scoppia un casino, motivo per cui spesso lo sposo fa prima a sgozzare un pollo e scuoterlo sul letto. 

Un bel rito, no?

domenica 10 aprile 2011

berberi, arabi o musulmani?


E' arrivato il caldo, 40 gradi di giorno e 30-35 di notte. Un po' troppi per i miei gusti ma almeno non c'è umidità. C'è così poca umidità che l'aria sa di sabbia, e in parte è sabbia. Meno male che a casa ho il climatizzatore. In ufficio c'è ma non funziona. 

Caldo a parte, la vita qui è gradevole e i mauritani sono gentili e ospitali. Poi c'è Al Qaida che permea il tessuto sociale. A non conoscere la società mauritana si non si capisce come facciano queste due componenti a coesistere. Il fatto è che c'è una dinamica conflittuale tra la cultura tradizionale berbera e una cultura estremista islamica tutto sommato recente. I berberi nomadi sono sempre stati tolleranti, indipendenti ma rilassati, ospitali e accoglienti. Da secoli si vivono l'islam a modo loro. Dopo l'indipendenza dalla Francia però l'islam è diventato un cemento di unificazione nazionale e movimenti religiosi radicali hanno sempre più messo penetrato la società mauritana. Per questo ogni tribù, ogni famiglia, ogni mauritano deve bilanciare dentro di sé un equilibrio tra un sistema di valori tradizionale e la pressione degli ambienti religiosi. 

Il risultato è un paese dove fanno a gara ad invitare lo straniero a pranzo, viziano l'ospite d'ogni nazionalità con tutte le attenzioni, accogliere i viaggiatori è sacro, offrire il tè è un rito. Allo stesso tempo però le bambine subiscono mutilazioni genitali e infibulazione, l'omosessualità è punita con la morte, le donne sono costrette a mangiare perché una donna grassa è più facile da sposare, gli stupri e gli abusi sia in famiglia sia fuori sono tanti e tollerati. 

E' difficile diventare amici dei mauritani perché anche chi ha viaggiato, anche chi condanna certe pratiche è figlio di questo conflitto culturale e ne subisce l'influenza. 

venerdì 1 aprile 2011

Invito a Pranzo con Sorpresa


il bello del mio ufficio è che la maggior parte di chi ci lavora è mauritano. Succede a volte che dei colleghi mi invitino a mangiare a casa loro, che è un bel modo di entrare dritti dritti nelle stanze di vita quotidiana mauritana. 

Tempo fa sono stato ad un pranzo divertente, sorprendente. Una collega maura ha invitato una sua cugina, due sue amiche maure e tre colleghi italiani tra cui me. Totale di cinque donne e due uomini. 
Visto che l'alcohol è vietato, a pranzo si arriva di solito con dei pasticcini o del gelato. Ma qualunque cosa si porti verrà dispersa nell'opulenza che viene mostrata sulla tavola imbandita ogni volta che un mauro ti invita a casa sua. 

Comunque dessert alla mano mi presento a casa della nostra ospite in compagnia degli altri italiani. Più che di una semplice casa, si tratta di una proprietà circondata da un muro di cinta al cui interno, nascoste da un lussurreggiante giardino, si ergono alcune costruzioni indipendenti. Una grande casa in mezzo al parco e diverse casette più piccole disperse tra gli alberi. E' un'architettura che interpreta la società tribale. Nella grande casa sta il maschio dominante con la sua famiglia più stretta e nelle case satellite stanno i cugini e i familiari meno importanti. Tutti vivono vicini, circondati dallo stesso muro di protezione in una sorta di villaggio familiare. Di queste costruzioni ce ne sono molte in città, una per ogni famiglia ricca, e ospitano decine di persone. 

Tolte le scarpe all'ingresso, siamo accolti nel salotto principale dove resteremo tutto il pomeriggio. Il giro della casa non è previsto, soprattutto per un motivo pratico. Se girassimo per le stanze dovremmo esser presentati a un sacco di persone e, considerato il cerimoniale da seguire ogni volta, ci servirebbero delle ore. 

Il salotto è ricoperto dagli immancabili tappeti e lungo tutte le pareti è appoggiato un lunghissimo divano arricchito da ricami in oro e da una buffa radio incastonata in un angolo, un po' anni '70. Al centro un tavolo basso rotondo e qua e là dei carrelli colmi di bibite e datteri. 

Tranne la collega italiana, le donne sono tutte vestite con la melahfa, il velo integrale tradizionale. Facciamo un po' conversazione, beviamo qualcosa e presto viene il momento di mettersi a tavola. Prima di mangiare passa un servitore con una caraffa d'acqua e un recipiente d'argento sul quale è appoggiato un sapone. Si mangia con le mani e quindi a turno ce le laviamo mentre il ragazzo si china per versarci l'acqua. 

Il piatto unico è il thièboudien, il riso al pesce e verdure, servito in una grande padella al centro del tavolo da cui tutti si servono. E' un po' scomodo stare seduti a terra e mangiare ad un tavolo basso, purtroppo non sono capace di stare nella posizione del loto.  

Dopo il pasto la servitù toglie la padellona, ripassa per farci lavare le mani e porta i piatti con i dessert. Ed è a questo punto che si sente che l'atmosfera si rilassa e la compagnia si fa più aperta, più intima. Mentre beviamo il tè alla menta la conversazione scorre veloce come tra amici di sempre. La nostra ospite e le sue amiche maure iniziano a parlarci come si parlano tra loro in confidenza e noi italiani ci troviamo nel bel mezzo di un pomeriggio di ciane tra ragazze. 

Tra i ricordi della loro adolescenza e lo strano gossip di una società tribale le donne maure stupiscono per...diciamo sfrontatezza. Senza mai rinnegare apertamente la religione parlano a lungo dei loro rapporti sessuali prematrimoniali, extraconiugali, impropri. Raccontano barzellette così sfrontatamente volgari da non fare ridere. Mentre parlano fumano ma quando la madre fa capolino nella sala le sigarette spariscono frettolosamente, non sta bene che una donna fumi, soprattutto in presenza di uomini. 

Noi occidentali siamo sorpresissimi della naturalezza con cui esprimono la loro emancipazione, come se non vedessero le stridenti contraddizioni, l'ipocrisia del nascondersi per "rispetto" della religione. Soprattutto siamo sorpresi che si mostrino così a noi che tutto sommato siamo estranei. Ma non siamo musulmani né arabi quindi nessun problema. 

Sono le 18h, il tè è finito e il gelato avanzato si è sciolto. E' ora di tornare ognuno a casa sua, domani si lavora.

venerdì 25 febbraio 2011

le cose fatte bene


Il lavoro procede più lentamente di quanto vorrei. Un po’ è forse colpa mia, tutto sommato sto ancora imparando. Però ci sono anche degli ostacoli oggettivi. Facciamo un esempio: le riunioni. A Bruxelles se organizzi una riunione alle 5 del pomeriggio va bene a tutti e si presenteranno da te alle 5 meno 10. Qui la prassi è diversa. Una riunione dopo le 3h30 del pomeriggio non è accettabile, anche perché le riunioni iniziano spesso con una mezz’oretta di calma. 

Però poi le cose vengono fatte, non si sa come. C’è una elasticità, una malleabilità mentale che è facile scambiare per pressappochismo. Un esempio: l’altro giorno ero nell’ufficio di un collega e un’assistente lo stava aiutando a mandare un’email che non voleva partire. Sai quando sei convinto d’avere l’indirizzo corretto e la mail ti torna indietro. Chissà com’è chissà perché e tutti ad interrogarsi sul motivo che impediva alla mail di partire. Faccio notare che il server dice che l’indirizzo non è corretto. Dice il collega: ah, allora aspetta provo a mettere le iniziali del nome in maiuscolo o forse ci metto un punto qui o uno spazio lì. Io inorridisco: gli spazi non sono accettati nell’ortografia degli indirizzi email, che peraltro non riconoscono differenze tra maiuscole e minuscole, infine i puntini mica li puoi mettere a caso! Inorridisco ma me ne sto zitto. E meno male, perché una volta aggiustato l’indirizzo con questi arrangiamenti raffazzonati il server ha fatto partire la mail. Sicuramente era un server africano, pressappochista pure lui.

domenica 20 febbraio 2011

l'occhio del ciclone

 Sarà per il rischio terrorismo, sarà perché in questi giorni c’è un summit pan-africano per risolvere la crisi in Cote d’Ivoire, sarà per la paura di rivolte popolari d’importazione egiziana, comunque in tutta la città la presenza militare sta aumentando parecchio. 

L’altro giorno ero a pranzo con gli spagnoli in un ristorante senegalese in centro. A metà pasto arriva l’esercito, 4 uomini in divisa verde, baffetti e AK47 d’ordinanza. A noi europei uno sguardo sommesso e un gesto di saluto; la proprietaria senegalese non è altrettanto rispettata. Documenti prego. Suo marito dov’è, perché non è con lei? Le dispiace se diamo un’occhiata in giro?

Durante la notte nel fine settimana ad ogni incrocio c’è una pattuglia con un fuoristrada di traverso che ferma tutte le auto che passano, torcia elettrica sul viso e poi dentro l’auto. Anche qui, il bianco viene trattato con i guanti, saluti come se foste amici d’infanzia, gran strette di mano e loro son contenti, puoi passare. Non ti chiedono nessun documento, non guardano se hai bevuto o se non hai la cintura. Vogliono sapere se hai esplosivo o armi, ma se sei bianco non c’è pericolo, te la cavi con un sorriso. 

In questi giorni poi il mio quartiere è in subbuglio. Sì, perché il Presidente della Repubblica mauritana è stato nominato dall’Unione Africana come mediatore per risolvere la crisi in Cote d’Ivoire. Perciò a partire da oggi in un hotel di Nouakchott si tiene un summit con tutti i capi di stato e di governo implicati nelle negoziazioni. L’hotel dove si tiene il summit è il palazzo accanto a casa mia. Li vedo dalla finestra. Da ieri e per una settimana l’intero quartiere è l’epicentro dell’Africa politica. E casa mia è il palazzo accanto all’occhio del ciclone. Tutto tranquillo in apparenza ma un gran casino tutto intorno. La presenza militare nei dintorni di casa è imponente quanto disordinata. Comunque è un fiorire di fanteria armata di kalashnikov e a guardare dalla finestra si vedono dei cecchini sui tetti dell’hotel. Aspetta che tiro le tende vah. 

lunedì 14 febbraio 2011

Quattro ruote motrici


Finalmente ho un’auto, una Nissan Terrano II 4x4. La mia padrona di casa ha una figlia che per almeno un altro anno non torna dalla Francia e così abbiamo trovato un accordo. Le pago un fisso ragionevole al mese e uso l’auto della figlia. Da qualche giorno quindi girovago col mio nuovo fuoristrada per tutta Nouakchott. Finalmente inizio a capire dove stanno le cose.



Sabato mattina sono andato al marché capitale a comprarmi un hauli, la sciarpa-turbante di tre metri che si arrotola sulla testa secondo la moda touareg. Per vento e polvere è eccezionale. Contento del prezzo negoziato al ribasso ho offerto un passaggio al mercante che me l’ha venduta. Vai a casa? Dov’è? Ah, quartiere Arafat… ok. Il quartiere Arafat è il più povero della città. Ed è anche il più a sud, dalla parte totalmente opposta a casa mia. È, per capirci, dove è scoppiata l’autobomba due settimane fa. Ormai però ho promesso a Baba che lo accompagno. Mentre siamo per strada il panorama cambia e diventa una baraccopoli. Baba telefona a casa. Parla hassanya ma so cosa sta dicendo. Quando arriviamo, davanti a casa sua si è radunata la famiglia. La moglie, i tre figli piccoli, il padre e il fratello della moglie. È stato Baba ad avvisarli, voleva farsi vedere accompagnato a casa da un toubab, un bianco. Me li presenta tutti uno ad uno, mi promette un prezzaccio se mai volessi acquistare un boubou (l’abito tradizionale mauritano) e ci salutiamo. Riesco incredibilmente a ritrovare la strada verso il centro città, passo da casa e poi vado in spiaggia con amici. Avere la macchina è una svolta!

venerdì 11 febbraio 2011

Che c'è per pranzo?


La Mauritania non esiste. È un paese meticcio, una risultante a metà strada tra il Marocco, il Mali e il Senegal. La popolazione si divide equamente tra magrebini, berberi e neri. L’arabo che si parla qui è un dialetto spurio mischiato col wolof. E il cibo non fa eccezione. 

La cucina mauritana non esiste. Da una parte esiste la cucina povera dei mori magrebini e berberi. Sono popoli tradizionalmente nomadi perciò la loro cucina si limita a carne, latte e datteri. Da bere tè alla menta decotto. Nient’altro. Altrimenti esiste la cucina di derivazione senegalese che a Nouakchott è quella più apprezzata. 

Quello che potremmo definire il piatto nazionale mauritano, che è anche il piatto nazionale senegalese, è il Thiéboudiène, letteralmente riso al pesce in wolof. Ha un letto di riso rosso dal sapore speziato sopra cui viene appoggiata una gran varietà di pesce sia fresco sia essiccato in polpettine e molte verdure stufate. In alternativa al pesce, c’è anche il riso alla carne, preparato allo stesso modo. Si serve tradizionalmente in un grande vassoio circolare da appoggiare al centro del tavolo e da cui tutti mangiano con le mani arrotolando polpettine di riso e pesce. 


Un altro piatto molto comune, sempre senegalese di origine, è lo Yassa poulet. Si fa marinare il pollo tagliato a pezzettini nel succo di molti limoni verdi per almeno una notte intera insieme a olio d’arachidi e diverse spezie e poi si cuoce il tutto in un sughino di cipolle. Accompagnato da riso bianco.


Il contributo moro/berbero alla cucina mauritana è la proibizione della carne suina e l’abbondanza di cous cous, spesso preparato con la carne di dromedario. Salcicce, costolette, salami, mortadelle e prosciutti sono introvabili in Mauritania e bisogna fare senza. Se proprio sentissi il bisogno di mangiare suino, il ristorante italiano offre salcicce di facocero tutto sommato buone. La carne di dromedario, che mi avevano detto essere immangiabile, ha invece un sapore accettabile. Però è di gomma. Tu la mastichi e quella non si riduce e anzi torna sempre nella forma iniziale. Sconsigliata.